La hybris di Milano e la grande NEVICATA del 1985

Milano è così, superba, ha come unico limite il cielo

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Caput vitiorum. Il capo di tutti i vizi. Per Sant’Agostino e i padri della Chiesa il peggiore dei vizi è la superbia. Non era un’idea nuova: anche Platone considerava la hybris, la sua versione greca, il peggiore tra i peccati. Hybris è quella sensazione di sentirsi al di sopra di tutto, di librarsi in volo come Icaro, di guardare tutti dall’alto in basso, dimenticando il limite del cielo.
Il prezzo della hybris Milano l’ha pagato un inverno. Era il 1985. Un inverno destinato a passare alla storia. 

Era iniziato da poco gennaio e il climate change di allora era l’opposto di oggi: lo spettro era il freddo. Si parlava perfino di nuova era glaciale, soprattutto quando Roma vede piovere fiocchi di neve grandi come palle che in breve paralizzano una città che non ha l’agilità come suo punto di forza. Risultato? Scuole chiuse, traffico impazzito, panico. Pochi fiocchi e la capitale si blocca, si ride di questo nei bar, negli uffici e nelle scuole di Milano che sotto un cielo sereno si gode lo spettacolo di una Roma che chiede aiuto per quella che pare una cosa da niente. 

La hybris porta Milano non solo a ridere di Roma ma a sottovalutare il pericolo. Contro la neve al milanese basta un impermeabile, così la città fa la bauscia e spedisce a Roma tutti i suoi mezzi antineve per liberare le strade della capitale. Pochi giorni e la nevicata di Roma sfuma e di lei restano solo versi di canzoni nostalgiche di qualche decennio dopo. 

Ma la storia non è ancora finita. Anzi. Perché l’ondata di gelo artico che aveva intirizzito il centro Italia era solo la punta di un iceberg di aria fredda che centrato sulla Corsica si stava riavvolgendo per sferrare il vero attacco polare. Proprio contro Milano. 

Dal 13 gennaio 1985 Milano smise piano piano di ridere di Roma e passò a guardare il cielo dall’iniziale simpatia a una crescente preoccupazione. Sì, perché la neve non smetteva mai di cadere. Non solo il 13, anche il 14, il 15, andò avanti senza sosta anche il 16 e il 17, diventando la “nevicata del secolo”, la nevicata più forte registrata a Milano dal Novecento in poi. 

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Una delle caratteristiche della hybris è che il superbo non molla facilmente. Va avanti, persevera con il petto tronfio, finge di non aver bisogno anche se è in ginocchio. Così fa Milano. Senza mezzi antineve inviati a Roma le sue strade si ricoprono di neve come fuoripista dolomitici, ma i milanesi cercano di far vedere ai romani di che pasta sono fatti.
Le scuole rimangono aperte, salvo quando la situazione si fa disperata, e si affrontano i viaggi in auto o in bus come se si andasse alla conquista dell’Antartide, quelle storie in cui gli esploratori scomparivano nel nulla. 

Per noi ragazzini la hybris era una festa. Strade senza spazzaneve significava l’avventura di autobus che a ogni fermata si sentivano le ruote slittare, cercando di ripartire. Spesso l’autista chiedeva ad alcuni di scendere per spingere il mezzo, scene comiche tranne che per quelli che avevano spinto che vedevano allontanarsi il bus che a quel punto non si poteva più rifermarsi. 

La hybris erano mezzi bloccati nella neve, auto che scivolavano sul ghiaccio, avventurosi che andavano al lavoro sugli sci. Per un bambino è gioia pura, ma per gli dei del cielo la hybris è qualcosa di diverso. E’ uno schiaffo che strozza una risata in gola. 

Il Palasport di via Tesio nei pressi dello stadio era considerato un piccolo capolavoro e rendeva orgogliosa tutta la città. Aveva la forma a onda: atipica, insolita, qualcosa che nessuno aveva mai provato a fare, sollevava interrogativi per quella sua sfrontatezza, ma Milano è così, superba, ha come unico limite il cielo.

Il Palasport ospitava incontri sportivi, dal basket alla Sei giornate dei ciclismo, ed era diventata l’arena dei concerti. Nel Palasport vidi il mio primo concerto, di Franco Battiato. La meraviglia estetica, quella sua forma a onda fu la sua condanna: tutta la neve caduta in quei cinque giorni invece di distribuirsi su tutta la superficie del tetto si era accumulata sul suo centro di gravità permanente. Abitavo a pochi metri. Il silenzio ovattato della nevicata viene squarciato da un boato. Il tetto del Palasport aveva ceduto.
Era la notte del 17 gennaio. L’ultimo giorno della grande nevicata. 

Non erano in programma eventi, non ci furono vittime, a parte il Palasport che dopo diversi tentativi di ricostruzione venne definitivamente abbattuto. 
Cosa resterà della grande nevicata? Il ricordo di una Milano mai più così bella, vestita in abito da sposa, ma anche l’insegnamento che Roma può subire i colpi del presente ma resta l’immortale, la più amata dagli dei del cielo.

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Palasport di San Siro

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ANDREA ZOPPOLATO

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Andrea Zoppolato
Più che in destra e sinistra (categorie ottocentesche) credo nel rispetto della natura e nel diritto-dovere di ogni essere umano di realizzare le sue potenzialità, contribuendo a rendere migliore il mondo di cui fa parte.