“Vi faccio vedere come muore un italiano!“. Una frase che ha fatto storia durante la Guerra del Golfo. E che portò in auge l’italianità come valore, non una semplice caratteristica anagrafica. Tra i temi più divisivi e dibattuti del confronto politico nostrano c’è quello sulla cittadinanza. Trattato in maniera eccessivamente semplicistica e con troppo rigore ideologico sia dalla destra quanto dalla sinistra, a farne le spese sono gli immigrati regolari e più integrati. La cittadinanza italiana va meritata. Questo si dice. Ma se il discorso valesse anche per gli italiani? Anche perché non tutti sono all’altezza di potersi definire tali. Anzi, molti con il loro comportamento infangano l’essere italiani esattamente come accade per i prodotti patacca che all’estero fingono di venire dallo Stivale.
# Per la sinistra per essere italiani basta il soggiorno…

Negli ultimi anni ci siamo abituati a pensare alla cittadinanza non per quello che è, ma come uno dei cavalli di battaglia preferiti dalla sinistra. Quasi da sempre infatti la sinistra ha cercato di proporre leggi, come lo Ius Soli, che permettessero ai migranti giunti in Italia di accedere molto più semplicemente alla cittadinanza italiana. Questo perché ottenere la cittadinanza permetterebbe di accedere ai diritti che questa comporta. In realtà la maggior parte dei diritti che qualunque essere umano deve vedersi rispettati, sono garantiti anche attraverso i cosiddetti permessi di soggiorno e per partecipare pienamente alla vita sociale del Bel Paese serve fare un cammino ancora più lungo e complesso. Questo percorso dovrebbe infatti garantire che, chiunque entri in Italia, possa avere il tempo di integrarsi con la cultura nostrana, accettarne gli usi e i costumi e comprendere la mentalità riflessa nelle leggi dello Stato. Ma se da una parte è giusto far sì che tutto questo venga rispettato, è anche vero che ci sono certi limiti legislativi veramente assurdi. Tuttavia le proposte della sinistra sono sempre troppo semplicistiche, formulate talmente male da far capire che l’interesse non è tanto di estendere realmente la cittadinanza, ma di utilizzarla per mero tornaconto politico. Cosa ne pensa invece la destra?
# …per la destra essere italiano è un valore

La destra su questo è molto chiara: essere italiani è un motivo di orgoglio. Perché indice di una serie di valori distintivi. L’esempio chiave utilizzato dalla destra è il coraggio singolare di Fabrizio Quattrocchi, che poco prima di essere giustiziato da un gruppo di terroristi tenta di togliersi la benda che gli copriva il viso, per andare incontro alla morte a volto scoperto, mentre diceva “vi faccio vedere come muore un italiano!“. Uno storico simbolo di italianità, concentrato di onore, coraggio e patriottismo, sprezzante del pericolo anche nell’ultima ora. Quindi, secondo la destra, essere italiani è qualcosa di distintivo che va meritato. Almeno per gli stranieri. Ma se è indice di determinati valori, allora perché solo gli stranieri devono meritarselo?
# Il diritto-dovere della cittadinanza dovrebbe essere esteso anche agli italiani
Quelli incarnati dall’essere italiani, si tratta di valori che spesso sono traditi e sviliti proprio dagli italiani. Compromettendo pertanto l’immagine e il valore stesso di potersi definire italiani. Quattrocchi andò incontro alla morte portando con sé un’idea di Italia con la quale molti italiani da quattro soldi non hanno niente a che fare. Eppure sono italiani esattamente come era lui. E come quelli che incarnano al meglio l’italianità. Qual è dunque il criterio che distingue un italiano da un qualsiasi altro straniero? Il proprio sangue o l’adesione completa a quegli stessi valori per cui Quattrocchi morì con coraggio?
Evitando i concetti di sangue e razza, che sono più adatti agli animali piuttosto che agli uomini, la domanda che spontaneamente si vuol porre a entrambi gli schieramenti è: in cosa consiste essere cittadino italiano? Bisogna anzitutto ricordare che la cittadinanza non c’entra nulla con l’autoctonia, perché è uno status giuridico che comporta diritti e doveri: non basta essere nati in Italia da genitori italiani per esserne degni cittadini, se poi non si rispettano gli impegni legati alla comunità nazionale in cui si è inseriti. In quest’ottica chi merita di più: un italiano nato da italiani che evade le tasse, o uno straniero arrivato in Italia per lavorare pagando i contributi e interessandosi della cosa pubblica? D’altra parte non hanno senso nemmeno le proposte che suggeriscono di far ottenere la cittadinanza a chiunque sia presente in Italia da un tot numero di anni: esistono tantissimi altri vincoli, per esempio legati alla fiscalità, che nulla hanno a che vedere con l’italianità stessa e che dovrebbero essere il vero tema da affrontare. L’Antica Roma aveva già risolto questo problema migliaia di anni fa, premiando i meritevoli e preservando le identità attraverso il contributo attivo. La cittadinanza dev’essere ripensata in questo modo, includendo criteri pragmatici che favoriscano soprattutto la possibilità di comprendere il contesto culturale italiano e contribuire alla crescita della società. Oltretutto dovrebbe essere più dinamica: la possibilità di acquisirla, così come il rischio di perderla, dev’essere estesa anche agli italiani “di sangue”, aumentando una consapevolezza critica della propria appartenenza alla comunità nazionale e incentivando la partecipazione civica.
Lo strumento più adatto a realizzare un progetto simile è la scuola: forgiare le persone all’insegna dell’identità culturale italiana, offrendo un percorso al termine del quale si presta un giuramento che, nell’eventualità in cui vengano traditi quei valori per cui si è giurato, magari commettendo reati gravi contro la collettività, la cittadinanza viene revocata. Questo modello valorizzerebbe il merito, non il sangue, e favorirebbe l’integrazione senza sacrificare l’identità. La cittadinanza diventerebbe così un patto attivo, non un diritto automatico, garantendo coesione, rispetto reciproco e crescita collettiva.