Quest’estate, in molte località italiane, gli stabilimenti balneari annotano un brusco calo dei visitatori. Secondo Confcommercio e il sindacato balneari, a luglio il turismo sulle spiagge è diminuito in media del 15 % rispetto a giugno, con punte fino al 30 % in Emilia‑Romagna. Anche in Versilia, si segnala un ‑15 % e una contrazione delle presenze italiane.
Non sembra essere solo il meteo o la stagionalità. La pressione dei costi del caro‑spiaggia – ombrellone e lettini tra 30 e 60 € al giorno, ristorazione sotto-shadowing – scoraggia un turismo che oggi si muove, cambia spiaggia e cerca libertà e servizi accessibili. Ma forse la causa va cercata in un altro fenomeno peculiare: il modello italiano di gestione del litorale, dove le spiagge più belle sono affidate in concessione a privati e quasi sempre a pagamento. E se fossero loro, proprio chi oggi si lamenta, la causa prima del calo di presenze?
# La privatizzazione delle coste: un unicum nel mondo

Bibione
In Italia, circa la metà della costa è occupata da stabilimenti balneari privati che gestiscono servizi a pagamento. Le direttive europee impongono in ogni località del litorale almeno un 50% di costa libera, ma raramente questo principio viene applicato: spiagge pubbliche sono poche, spesso poco curate e non attrezzate.
Al contrario, in molti Paesi europei, i primi mostri competitor, la gestione è diversa:
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Spagna: le spiagge sono considerate “libere” e non sono oggetto di concessione in senso tradizionale, restano aperte e accessibili.
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Francia e Grecia: gran parte del litorale è pubblico, con servizi ben organizzati, salvataggio, pulizia quotidiana e accesso facile.
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Croazia: quasi tutte le spiagge croate sono gratuite. Questo perché il diritto alla costa è tutelato per legge, e il litorale è considerato terra pubblica non privatizzabile.
In particolare, in Spagna e Francia è normale trovare spiagge lunghe, pulite, gratuite e frequentate da famiglie e giovani. Un modello sostenuto da politiche pubbliche efficaci, che contrastano il monopolio balneare.
# L’autosabotaggio italiano: ancora fatto per un turismo stanziale

La tesi è semplice e radicale: il modello italiano di spiagge a pagamento ad alto prezzo non è sostenibile in un nuovo turismo che cambia. Un tempo, quando il turismo era stanziale, con famiglie che restavano settimane nella stessa località, lo stabilimento balneare era una comodità gradita. Oggi, però, i turisti italiani e stranieri preferiscono muoversi, cambiare spiaggia, cercare posti liberi e accessibili. Vogliono servizi in stile “spiaggia libera – ma pulita”, non dover pagare ogni volta per attrezzature e ombrelloni.
È il turista moderno: libertà, mobilità, semplicità. Eppure in Italia, per accedere alla battigia, spesso serve pagare o trovare poche decine di metri di spiaggia libera. Molti preferiscono andare altrove: perché scegliere località dove si paga anche per il mare?
# Costi alti, scelta che cala

I dati parlano chiaro: nel 2025, i turisti paganti in spiaggia diminuiscono. Nonostante il turismo sia in leggera crescita globale, le presenze si spostano verso mete più economiche o più libere. Dove il mare è gratuito.
Il caro‑spiaggia pesa: ombrellone e due lettini possono costare fino a 100 € al giorno in località glamour; pranzi da 30‑40 € persona; parcheggi a ore oltre i 3 €; servizi extra mai inclusi.
Mentre nei Paesi dove il litorale è gestito in logica pubblica, le stesse aree costiere sono ben attrezzate, gratuite, frequentate.
# Chi è causa del suo mal pianga se stesso

Proprio chi piange miseria è causa del suo male. E non solo del suo. Ma dell’intero Paese.
Il modello italiano delle spiagge private è la causa del declino del turismo: caro, rigido, poco attrattivo per chi vuole libertà e flessibilità. È come visitare una città dove i parchi pubblici sono a pagamento o quasi inesistenti. Chi ci vorrebbe restare?
Serve un cambiamento: molte più spiagge libere, accessibili, curate, politiche di concessione trasparenti e durate limitate, servizi gratuiti o low cost sul litorale. Solo così potremo competere con Paesi come Spagna, Grecia o Francia che hanno dimostrato che la spiaggia libera non è un costo, è un valore turistico.
L’Italia ha un patrimonio naturale straordinario. Ma il modello attuale lo trasforma in una trappola per il turismo. Un autogol su cui i primi a ribellarsi dovrebbero essere gli stessi cittadini. Anche se molti lo fanno in silenzio: scegliendo altri lidi.
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ANDREA ZOPPOLATO
Tutto vero. Ma circa la vita da spiaggia, non sarà anche che la gente comincia a stufarsi di un modo di vivere dispendioso che esiste da meno di cent’anni?
Da bambino mi ci deportarono e mi bastò. Gino Bramieri cantava: “Non gettarmi la sabbia negli occhi / perché sai che la sabbia fa male / nella sabbia in riviera c’è il sale / e lo iodio che brucia di più”. Parole sante. Quell’altro invece “Sapore di sale sapore di mare sapore di te”. Che già così… Ma caspita: “Poi torni vicino e ti lasci cadere / così nella sabbia e nelle mie braccia / e mentre ti bacio sapore di sale”. Due bamba.
Perché le scemate da spiaggia non hanno riscontro altrove. Ed ecco tanti bei lucertoloni che si torturano per colorare la pelle che sanno già tornerà come prima. Pero, ohé, la sciura Luisa è tornata da Alassio nera come il babau mentre mi son pallida come una strassa; e allora giù un tubetto di crema alla volta che mette anche non scrivo dove. Quindi la biancona si immola sulla graticola come san Lorenzo che però non la scelse, e mentre si rosola ecco il cagnetto che le massaggia i piedi con la sua codina sabbiosa. Poi c’è il bambino che la innaffia manco fosse la sabbiera dell’atm, con la mammina che la vosa “Lo perdoniii; è tanto vivaceee”. Ma il clou è una palla sulle zinne sfuggita a quattro quarantenni deficienti che giocano come fuori di spiaggia si vergognerebbero. E lì o gliela ributti maledicendoli perché esistono o se la vengono a riprendere sghignazzando e senza scusarsi, omaggiando altra sabbia.
Poi alle tredici il proverbiale languorino. Non hai fatto una mazza e c’è un sole accussì. Che ci sarà mai nel borsone? Frittatina alle verdure, insalatona, frutta, tè? Macché. Spuntano fuori: il timballo di maccheroni, la parmigiana alle melanzane, il pollo fritto e il fiasco del chianti. E si banchetta in compagnia cantando a seconda della latitudine mi sunt’alpin, lassatece passà, ciuri ciuri.
Poi c’è il capitolo acqua. Dove nessuno lo dice ma tutti lo fanno. Anzi la fanno, anche chi non ha preso il Dissenten. Poi c’è il cirillo che scava una buca nella battigia che la marea ricoprirà, per la delizia di chi finirà dentro cantando l’Aida.
“Quest’estate in riva al mar non potrò dimenticar” chiosava Vianello. A cominciare dal conto in banca prosciugato per vivere col sole in fronte.
Ma sentiamo ancora Bramieri: “Non gettarmi la sabbia negli occhi / spendo tutti i miei soldi in collirio / ogni notte è un vero delirio… sono buono e non cerco la lite / ma la congiuntivite non la posso soffrir”. Poi idea: “Un altr’anno ti porto in montagna / e t’attendo con grande piacer / a gettarmi dei sassi negli occhi ti voglio veder.” Strategia meneghina ma anche: un altro che si è stufato.