CONTE IN PROCURA per Alzano e Nembro: quando l’Italia diventò tutta “zona protetta” (senza più zone rosse o arancioni)

Perchè non è stata creata una zona rossa a Nembro e Alzano? Ripercorriamo tutte le tappe di quelle concitate settimane che hanno provocato drammatiche conseguenze

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Le zone arancioni: durarono solo 24 ore

Il premier Giuseppe Conte verrà ascoltato dai magistrati della Procura di Bergamo per rispondere alle domande sulla mancata istituzione delle zone rosse di Nembro e Alzano Lombardo. Domande a cui hanno già risposto il presidente della Regione Lombardia Fontana e l’Assessore al Welfare Gallera, dove si sono registrati i focolai più gravi di tutta l’emergenza Covid-19. In quell’occasione il PM si è espresso dicendo che si trattava di una responsabilità del governo. In quei giorni di inizio marzo il governo cambiò più volte direzione: prima istituendo delle zone arancioni al posto delle zone rosse e, dopo appena 24 ore, cancellando tutto per istituire un’unica area protetta grande tutta Italia. Cerchiamo di ripercorrere come è andata e quali sono state le conseguenze di quella scelta.

CONTE IN PROCURA per Alzano e Nembro: quando l’Italia diventò tutta “zona protetta” (senza più zone rosse o arancioni)

# Conte: “Sono sereno con la mia coscienza, abbiamo fatto tutto il possibile per salvaguardare la comunità nazionale

In un’intervista rilasciata ieri 10 giugno di fronte a Palazzo Chigi, il Presidente del Consiglio Conte ha risposto alle domande dei giornalisti in merito alla mancata istituzione delle zone rosse di Nembro e Alzano Lombardo e alla prossima convocazione davanti ai magistrati della Procura di Bergamo. Queste le sue parole: “Il mio è un atteggiamento sereno, ma non frutto di sicumera, abbiamo preso delle decisioni difficili, ma sono sereno con la mia coscienza, abbiamo fatto tutto il possibile per salvaguardare la comunità nazionale“.

Il presidente della Regione Lombardia Fontana ha sempre sostenuto, e ha continuato a farlo di fronte ai pm bergamaschi, che le zone rosse sarebbe dovute essere state istituite dal Governo ed essendo già stato predisposto l’esercito per lui era “pacifico” che questo avvenisse. Ripercorriamo tutte le tappe di quelle concitate settimane.

Fonte: bergamo.corriere.it

# Le prime zone rosse: Codogno e altri 9 comuni lodigiani insieme a Vo’ Euganeo

Dopo la scoperta del “paziente zero”, poi diventato “paziente uno” a Codogno e il primo decesso per Covid-19 a Vo’ Euganeo, la paura di una diffusione incontrollata del virus si stava diffondendo in parte della popolazione italiana e soprattutto nel Governo. Per impedire che la paura si trasformasse in evidenza concreta con un DPCM vennero istituite le zone rosse a Codogno e altri 9 comuni del lodigiano e a Vo’ Euganeo, quali primi centri di focolai, la zona rossa significava: esercito a bloccare tutte le uscite e filtrare gli accessi, nessuno in strada, scuole e attività chiuse, nessun autobus e treno poteva passare.

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# 8 marzo: istituzione di un’unica “zona arancione” nelle aree più colpite (e fine alle zone rosse)

Qualche giorno dopo ci furono le prime avvisaglie di possibili nuovi focolai nelle provincia bergamasca, nei comuni di Nembro e Alzano Lombardo, e per questo con l’intensificarsi del contagio il governo aveva inviato l’esercito per bloccare i paesi come fatto per Codogno e Vo’ Euganeo. Quando tutto sembrava deciso, l’8 marzo il Governo ha preso una scelta diversa, cancellando tutte le zone rosse e individuando un’unica zona arancione per le zone più colpite: una differenza “cromatica” che potrebbe avere provocato danni irreparabili.

Con un nuovo DPCM veniva istituita dall’8 marzo una zona arancione in tutta la Lombardia, Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini in Emilia Romagna, Pesaro e Urbino nelle Marche, Venezia, Padova, Treviso in Veneto e Asti, Vercelli, Novara, Verbano Cusio Ossola e Alessandria in Piemonte. Codogno e i comuni del Lodigiano, in Lombardia, e Vo’ Euganeo, in Veneto, con questa decisione avevano riacquistato più libertà con la sparizione dei posti di blocco che per 14 giorni filtravano entrate e uscite nei loro territori. Le aree blindate non esistevano più, avendone create altre più grandi che le ricomprendono al loro interno. Aree chiuse e a mobilità ridotta, nelle quali muoversi soltanto per indifferibili motivi di lavoro o emergenze.

# 9 marzo: “Tutta Italia sarà zona protetta”

Il giorno successivo, anche su pressioni di altre regioni, dei media e dei principali esponenti politici, si decise che la zona arancione venisse estesa a tutta l’Italia. Conte a proposito disse: Non ci sarà più una zona rossa, ma ci sarà tutta l’Italia zona protetta” con le misure di lockdown e distanziamento sociale estese a tutta la Nazione. Aggiungendo che “Siamo ben consapevoli di quanto sia difficile cambiare tutte le nostre abitudini. Ma non abbiamo più tempo: c’è una crescita importante dei contagi e delle persone decedute. Quindi dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per il bene dell’Italia e lo dobbiamo fare subito.” Il nuovo DCPM, entrato in vigore il 10 marzo, si basava su un principio poi rivelatosi assurdo: siccome tutta Italia era zona rossa, non aveva senso mantenere o istituire delle vere zone rosse con posti di blocchi nelle aree in cui il virus era al massimo della potenza di contagio.

Non solo quindi i cittadini dei primi focolai si sono ritrovati a circolare con meno restrizioni, ma i nuovi e più attivi focolai bergamaschi senza alcun blocco hanno visto circolare il virus in una vasta area, innescando una serie drammatica di contagi e di decessi. 

# Le due gravi conseguenze della decisione del Governo

I risultati di quelle scelte sono purtroppo tristemente noti: l’Italia ancora oggi è seconda per numero di morti giornaliere in Europa e a fine di questa emergenza l’economia sarà tra le peggiori in assoluto. Se si analizza quanto fatto in Italia rispetto ai Paesi che hanno saputo controllare la diffusione dell’epidemia, come Germania, Taiwan o Corea del Sud, le conseguenze più drammatiche della decisione presa sono queste:

  • rendere tutta Italia zona rossa, anche se di fatto arancione, penalizzando le zone meno colpite sia dal punto di vista sociale che economico 
  • allentare l’attenzione e le misure restrittive nei confronti dei comuni più colpiti, non prevedendo le misure più focalizzate, fatte di blocchi totali attorno ai nuovi singoli focolai come avvenuto nel Paesi più virtuosi.

Quando Conte per giustificare la mancata adozione di misure restrittive ad hoc per le aree più colpite parla di salvaguardare la comunità nazionale, cosa intende? Significa aver sacrificato le comunità più colpite come Nembro e Alzano Lombardo a beneficio di tutti gli altri?

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FABIO MARCOMIN

 

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Fabio Marcomin
Giornalista pubblicista. Laurea in Strategia e Comunicazione d’Impresa a Reggio Emilia. Il mio background: informatica, marketing e comunicazione. Curioso delle nuove tecnologie dalle criptovalute all'AI. Dal 2012 a Milano, per metà milanese da parte di madre, amante della città e appassionato di trasporti e architettura: ho scelto Milano per vivere e lavorare perché la ritengo la mia città ideale.