Siamo sempre stati inflessibili nel commentare l’operato della Regione Lombardia nella gestione dell’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus, sottolineando gli errori a nostro avviso commessi: dalla delibera sulle Rsa, alla mancanza di una strategia di tamponi, tracciamento e isolamento, alle lacune nella comunicazione dei dati. Ora si intravede un cambio di rotta, forse tardivo ma almeno apprezzabile sotto alcuni aspetti, anche se restano alcune cose da migliorare.
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#1 La presa d’atto indiretta degli errori con la “svolta a U” sui ricoveri RSA del 4 giugno
Con la famigerata delibera dell’8 marzo che aveva di fatto permesso la diffusione del contagio nelle RSA, dando la possibilità di inviare i malati Covid meno gravi presso le strutture di degenza dove infatti si sono registrati il 30% dei contagi e solo a Milano 1.200 morti, il 4 giugno si è assistito ad una marcia indietro che si può leggere come una presa d’atto indiretta degli errori commessi con l’atto firmato in giunta.
Da inizio giugno finalmente le Rsa non possono più prendere in carico i pazienti affetti dal Covid 19 dimessi dagli ospedali. E gli anziani asintomatici che vivono ancora a casa, ma che necessitano di essere ospitati in una casa di riposo, potranno farlo solo a seguito di screening delle Ats anche attraverso interviste telefoniche, per accertare le loro condizioni di salute. In caso di un utente sospetto Covid 19 e constatata l’impossibilità di isolamento domiciliare dovranno essere cercate strutture adeguate per ospitarlo. Inoltre, per consentire l’ingresso di nuovi degenti nelle RSA è previsto il tempestivo trasferimento negli ospedali con reparti attrezzati degli ospiti delle case di riposo affetti da Covid 19, salvo i pazienti terminali, in stato terminale o in condizioni particolarmente compromesse da impedire il loro trasferimento. La condizione necessaria è però che la residenza sanitaria sia in grado di garantire tutte le misure per contenere il contagio.
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#2 L’accordo con il Sindaco di Bergamo per l’esecuzione di test sierologici con tampone in 48 ore
Dopo il balletto sui test sierologici, all’inizio vietati dal sistema regionale, poi ammessi ma senza riconoscimento di validità per avere il diritto di richiedere un successivo tampone, con Sala costretto a rivolgersi in Francia per analizzare i campioni dei dipendenti ATM, la Regione li ha finalmente inseriti nel sistema sanitario di screening. Il 15 giugno, come annunciato dal Sindaco di Bergamo Giorgio Gori, è iniziato un piano di prelievi ematici per 50.000 cittadini bergamaschi su una popolazione di 122.383 sviluppato dal Comune e sostenuto da diversi soggetti privati, sotto la supervisione della Regione Lombardia e dell’Ats. Le fascia di età coinvolta è quella tra i 18 e 64 anni, ovvero la popolazione attiva, con eventuale estensione ad altre fasce successivamente. La dotazione iniziale è di 50 mila test sierologici e fino a 20 mila tamponi.
Dopo questo primo accordo, con Fontana che ha dichiarato la massima collaborazione di Regione e ATS per combattere un eventuale ritorno dell’epidemia, ci auguriamo che venga replicato anche a Milano e in tutte le altre province lombarde.
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#3 I dati in tempo reale sull’origine dei contagi
Da alcuni giorni la Regione Lombardia, tramite l’assessore al Welfare Giulio Gallera, sta dando finalmente risposta alla prima delle 5 domande poste da noi un mese fa ovvero quella sulla provenienza dei nuovi contagi.
Nello specifico avevamo chiesto:
CHI SI STA AMMALANDO? A oltre tre mesi dall’inizio della pandemia chi si sta ammalando? Dove si stanno originando i nuovi contagi? Nelle RSA? In famiglia? In strada?
Dal 12 giugno infatti queste informazioni vengono rese pubbliche quotidianamente, assieme ad altre quali la quota di positivi risultanti da test sierologici, la percentuale di positivi tra “civili” e operatori, la forza attuale del virus che sono utili a comprendere la reale evoluzione dell’emergenza sanitaria della Lombardia.
Da questi dati è possibile produrre una fotografia della situazione attuale:
- molti positivi sono risultati in seguito a tampone post test sierologico
- il 25,6% dei cittadini risulta positivo al test sierologico
- solo il 10% dei positivi al test sierologico sono ancora infetti
- la maggioranza dei nuovi contagi hanno una carica infettiva debole e risalente alle settimane passate
- i nuovi contagi provenienti dall’ambiente familiare sono prevalenti, mentre quelli nelle Rsa sono residuali
Queste considerazioni sembrano quindi confermare che la Lombardia è arrivata alla coda finale dell’emergenza e che la situazione risulta essere sotto controllo, senza ambiti di criticità, perché la maggior parte dei positivi si riferisce a contagi pregressi e solo il 10% dei positivi al test sierologico ha ancora una carica infettiva.
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#4 Ampliamento platea di persone sottoposte a tampone e avvio di una campagna massiccia di test e tracciamento
L’iniziale ritrosia nell’effettuare maggiori controlli sulla popolazione per verificare la presenza del virus ha visto un cambio di approccio negli ultimi giorni con un aumento delle persone sottoposte a tampone e l’avvio di una massiccia campagna di screening con prelievi ematici ovvero test sierologici. Ora infatti vengono sottoposti a tamponi: cittadini che si rivolgono al servizio di emergenza urgenza, pazienti in fase di ricovero, coloro che manifestano sintomi anche lievi, e i loro contatti, persone segnalate alle ATS dai medici di base o dai datori di lavoro, in seguito ai test sierologici. Lo screening sierologico viene effettuato invece a cittadini in quarantena, contatti di sintomatici, operatori sanitari, forze dell’ordine, personale dei tribunali che in caso di presenza degli anticorpi da Covid-19 vengono sottoposti a tampone per accertare la presenza del virus e quindi la possibilità di contagio.
Pur se in ritardo, questa decisione di aumentare e diversificare le modalità di controllo della diffusione del virus è da apprezzare, purché venga mantenuta nel tempo.
#5 Stop al piano socio sanitario che si è dimostrato fallimentare nell’affrontare il Covid
Uno dei problemi dei pessimi risultati in termini di contagi e decessi registrati della Regione Lombardia, con i morti che hanno raggiunto il 50% sul totale nazionale, è stato il cambio di paradigma degli ultimi 20 anni del sistema sanitario regionale. Infatti a differenza del Veneto e dell’Emilia Romagna, che hanno un’estesa e capillare rete di medicina territoriale con maggiore presenza di gruppi assistenza sanitaria e di operatori sanitari negli strutture pubbliche in percentuale alla popolazione, il sistema lombardo ha puntato su ospedalizzazione estrema, la maggior parte delle prestazioni più remunerative affidate al privato e lo smantellamento della medicina di prossimità. Questo ha fatto in modo che tra i medici di base e gli ospedali non ci fosse nessun filtro, trasformando gli ospedali prima e le RSA poi in centri di propagazione dell’infezione, insieme all’assenza di dispositivi di protezione per pazienti e operatori sanitari.
Il piano del sistema sanitario in fase di approvazione e al momento stoppato avrebbe previsto una prosecuzione dell’attuale paradigma gestionale con un’ulteriore accelerazione dell’ospedalizzazione e lo smantellamento della medicina di prossimità.
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# Cosa serve ancora alla Regione per imprimere una svolta decisiva al suo operato?
Questi passi in avanti possono essere decisivi per gestire la coda dell’emergenza sanitaria e sono anche un riconoscimento, pur se non esplicitato pubblicamente, degli errori commessi sinora. Se è apprezzabile quello che la Regione Lombardia sta facendo per rimediare al passato, quello che serve ora è un ulteriore scatto in avanti che preveda: una comunicazione formale e trasparente su tutti i dati in possesso sulla gestione dell’emergenza meglio se in modalità open-data, un protocollo da usare ora e in avanti per essere preparati a un’eventuale nuova ondata in autunno e in generale per tutte le future epidemie in regione che potrebbero presentarsi negli anni futuri. In ultimo, visto lo stop all’approvazione del piano sanitario, servirebbe ripristinare la rete di servizio assistenziale di prossimità utile a far fronte a emergenze come quella da Covid-19 e per meglio rispondere alle esigenze dei cittadini nei territori: a tal proposito si potrebbe prendere spunto dalla critiche mosse dai tecnici regionali, nel rapporto del 2010 conseguente all’influenza suina per fortuna di debole impatto in Italia, sulle azioni da intraprendere per chiudere le falle del piano contro le epidemie.
Concludiamo poi con un’ultima fondamentale inversione a U che auspichiamo venga fatta dalla Regione: smetterla con l’atteggiamento paternalistico centrato su imposizioni e obblighi sui cittadini, tipo mascherine obbligatorie anche da soli all’aperto, e avviare invece un rapporto civile e maturo, da pari a pari, basato sul rispetto, sulla trasparenza e su un reciproco senso di responsabilità.
FABIO MARCOMIN
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