Milano merita un partito accelerazionista

Un’alternativa futuribile e lungimirante

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Dal dopo EXPO Milano è in continua fase ascendente, si vede nei numeri, si percepisce nelle strade, tant’è che ormai è diventato davvero difficile includere il centro città nel resto del paese Italia. Il percorso da fare, però, è ancora lungo e in un momento come questo non ci sarebbe niente di più pericoloso che specchiarsi, piacersi e adagiarsi sugli allori: Milano deve accelerare, merita un partito accelerazionista.

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#Accelerate: la miglior genealogia dell’ideologia accelerazionista

L’accelerazionismo è perfetto per il Terzo Millennio e per l’era di Internet: è fumoso, post-ideologico, sfaccettato.

Trae le sue origini dalla Volontà di Potenza di Nietzsche, specificatamente in un passaggio dell’aforisma 672, “I forti dell’avvenire”: «II livellamento dell’uomo europeo è il grande processo che non si può ostacolare; si dovrebbe anzi accelerare».

Come molte altre manifestazioni del pensiero del filosofo tedesco (ad esempio l’Übermensch, diventato oltreuomo a sinistra e superuomo a destra), anche questa è stata fraintesa e strumentalizzata da una parte e dall’altra: la sinistra ci ha visto il superamento del capitalismo tramite la spinta continua all’innovazione tecnologica; la destra l’intensificazione del meccanismo capitalista stesso, fino al raggiungimento della cosiddetta singolarità tecnologica, il punto in cui il progresso accelererà oltre la capacità di comprendere e prevedere degli esseri umani (si pensi alle inquietudini odierne riguardo l’intelligenza artificiale).

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Uno schema speculativo sul futuro dell’umanità

Milano può andare oltre le interpretazioni novecentesche del Nietzsche-pensiero; come la Cina con il suo socialismo con caratteristiche cinesi, qui potremmo avere un accelerazionismo in salsa milanese.

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D’altronde, l’evoluzione di questa idea è continua: i francesi Deleuze e Guattari riscrissero l’accelerazionismo nel loro Capitalismo e schizofrenia del 1972, nel volume L’Anti-Edipo, dove studiarono l’essenza del capitalismo rilevando che 1) nel suo essere è richiesta la continua, obbligata crescita economica, obiettivo da porre al di sopra di tutto, come una sorta di diktat metafisico e che 2) questo rende necessarie pratiche di deterritorializzazione, deregolamentazione, sradicamento identitario.

Il continuo e costretto accelerare di queste modalità porterà il sistema a implodere, collassare da solo, autofagocitarsi.

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L’iconico Charging Bull posto dinnanzi alla New York Stock Exchange

Le prospettive odierne sono molteplici.

Abbiamo il Manifesto per una politica accelerazionista di Alex Williams e Nick Srnicek: qui l’orizzonte è l’inevitabile (secondo gli autori) crisi che porteranno i cambiamenti climatici uniti all’automazione del lavoro. La soluzione? Abbandono della democrazia (“la segretezza, la verticalità e l’esclusione tutte hanno un loro posto in un’azione politica efficace”) e tecnopolitica, con un’ottimizzazione del tempo passato in ufficio: lavorare meno, lavorare meglio. Richard Branson, fondatore della Virgin, in una certa misura applica già questi principi ai suoi impiegati.

In quest’ottica estrema, però, servirebbe certamente una preparazione di base elevatissima da parte di tutti i lavoratori.

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The Third Hand, performance dell’artista Stelarc

Poi ci sono Nick Land e il suo CCRU (Cybernetic Culture Research Unit), uno spin-off dell’Università di Warwick in Inghilterra, secondo cui il capitalismo ha in parte tradito sé stesso, non si è spinto abbastanza oltre, e occorre quindi puntare a un capitalismo distopico, visto come inevitabile forma pervasiva finale dell’umanità.

Paul Mason, invece, scrive che “come accaduto con la fine del feudalesimo 500 anni fa, il capitalismo sta venendo rimpiazzato dal post-capitalismo in maniera sempre più rapida ed ineluttabile, un processo, questo, che sarà accelerato dalle grandi crisi e che verrà forgiato dall’emergere di un nuovo tipo di umanità. Sta già accadendo”.

Certamente, non mancano gli scettici: Mark Fisher, eclettico intellettuale inglese, il quale afferma che “è più facile immaginarci la fine del mondo che la fine del capitalismo”.

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Luigi Russolo, “La Rivolta” (1911)

E’ fuori di dubbio che la città italiana più pronta ad accelerare sia Milano: come abbiamo capito, il discorso passa dalla scienza e dalla tecnologia.

Partiamo dall’illuminante constatazione di Roberto Calasso, direttore della milanese Adelphi, il quale ha sapientemente scritto: “tutto il mondo secolare si fonda sul libero arbitrio e sulla fede nella scienza. Ma la scienza non dà alcun segno di credere nel libero arbitrio. Anzi, sulla base di argomenti ed esperimenti diversi, lo nega. […] Il dilemma è così grave da non essere riconosciuto”. Germogli per un cambio di paradigma: purtroppo gran parte del pensiero comune, così come dell’insegnamento scolastico, si basa ancora su modi ottocenteschi.

Una città pronta a dire la sua nei decenni a venire non può lasciarsi sfuggire l’occasione di implementare al meglio una realtà come quella dello Human Technopole, il nuovissimo istituto di ricerca in scienze della vita sorto in Arexpo, che si propone di diventare il centro di eccellenza mondiale per la genomica e i big data applicati agli studi su salute e invecchiamento.

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Rendering dello Human Technopole a pieno regime

Bisogna però fare di più, molto di più: un articolo uscito su Nature il 20 febbraio 2018, e sostanzialmente ignorato dai media nostrani, denunciava la totale assenza delle tematiche scientifiche nei discorsi da campagna elettorale italiani.

Come dargli torto? Gli investimenti del governo in ricerca e sviluppo qui sono in calo dal 2008, precisamente un -20%, quantificabile in 1.2 miliardi di euro in meno negli ultimi dieci anni. Al contrario, però, nello stesso periodo di tempo, le pubblicazioni made in Italy sulle più prestigiose riviste scientifiche sono cresciute del 10%.

Questo significa che abbiamo qualità, una qualità eccezionale, ma questo è un trend insostenibile, come sostiene Mario Pianta, economista dell’Università di Roma Tre che collabora con la Commissione Europea nell’ambito degli investimenti scientifici.

Provocazioni accelerazioniste

Nel frattempo, Macron vola in India a siglare accordi miliardari atti a promuovere uno sfruttamento efficiente dell’energia solare.

Sempre la Francia sta portando avanti il più importante progetto a livello mondiale sulla realizzazione del primo reattore a fusione (non fissione, come funziona oggi) nucleare della storia, che imiterà il funzionamento delle stelle: reazioni in cui due nuclei leggeri si combinano in uno più pesante, liberando una quantità di energia che per i canoni umani è praticamente infinita.

Si chiamerà ITER e dovrebbe iniziare le operazioni nel 2025. E le scorie? Sarebbero meno incidenti della plastica. Il problema resta proprio come gestire al meglio quell’incredibile rilascio di energia.

L’accelerazionismo non ha ancora sviscerato l’idea che sta dietro alla scala di Kardašëv, un metodo di classificazione delle civiltà basato sulla loro abilità di utilizzare l’energia disponibile nell’ecosistema di riferimento, che può andare dal pianeta d’origine (I livello) al sistema solare (II livello), fino alla galassia (III livello) e all’universo intero (V livello).

Secondo questa scala, l’umanità al momento è al livello 0.71, per non dire livello zero: raggiungere l’obiettivo di padroneggiare la fusione nucleare cambierebbe radicalmente le modalità di vita sulla Terra.

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Il Sole è acceso dalla fusione nucleare

Da questo punto di vista l’Italia c’è: l’Eni e il MIT hanno da poco siglato un accordo per portare avanti una ricerca ad altissimi livelli in questo ambito; Brindisi si è candidata per ospitare il sito per gli studi sulla fusione termonucleare nella sua Area della Cittadella della Ricerca; nell’ITER ci sono anche soldi nostri, dato che l’Unione Europea è, chiaramente, uno dei suoi principali sostenitori.

Ma Milano non è protagonista. Concentrare qui la vocazione italiana alla big science, magari anche attraverso la realizzazione di un polo unico per le startup che già proliferano in città, farebbe solo bene a tutto il nostro sistema.

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Il Bosco Verticale è così accelerazionista

Siamo la città che ha dato il via allo sviluppo delle green cities, che ora ci imitano dalla Cina alla Francia passando per il Vietnam, coinvolgendo anche lo stesso Boeri che ha progettato il Bosco Verticale, apripista di questo modello.

Inoltre, siamo primi in Italia per presenza di imprese di research & development, potendo contare su 584 realtà con 5112 addetti; Roma è seconda, con 555 imprese e 4235 addetti.

Oggi Milano merita un partito accelerazionista: per riprendersi a piene mani la sua propulsione e verve innovativa che l’hanno sempre contraddistinta dal resto d’Italia.

 

HARI DE MIRANDA

 

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Giacché questa è la verità: ho abbandonata la casa dei dotti e ne ho chiusa la porta dietro di me.