Il debito pubblico è INGIUSTIZIA sociale

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Elaborazione di Osservamondo su dati Bankitalia
Elaborazione di Osservamondo su dati Bankitalia

2.430.000.000.000 euro. E’ il debito pubblico dello stato italiano. In rapporto al PIL, la ricchezza prodotta dal paese, risulta al 133%. Quest’anno la spesa per gli interessi sul debito sarà attorno ai 55 miliardi di euro, con cui si potrebbero costruire 7 ponti sullo stretto di Messina. E per il futuro si prevede un ulteriore aumento del debito già previsto dalla legge di stabilità.

Il debito pubblico italiano è un problema per diverse ragioni:

#1. Il trend

Dieci anni fa il debito era pari al 100% del PIL. Oggi è superiore al 133%. Tutto questo è accaduto nonostante l’impegno sottoscritto al momento dell’entrata nell’Euro di far rientrare il debito al di sotto del 60% del PIL.
In rapporto al PIL il debito pubblico italiano risulta superiore rispetto a quello che ha portato la Grecia al collasso finanziario (nel 2009 il debito pubblico greco era al 129% sul PIL).

2. L’economia a crescita zero

Per calcolare la sostenibilità del debito pubblico lo si rapporta al PIL che rappresenta la produzione di ricchezza di un paese. In una fase di crescita negativa o vicina allo zero il debito risulta meno gestibile. Dalla crisi del 2008 l’Italia è assieme alla Grecia il paese che in Europa ha ridotto maggiormente il PIL.

3. La richiesta di maggiore flessibilità

Da alcuni mesi si assiste alla trattativa tra il governo italiano e l’Europa per ottenere maggiore flessibilità nel deficit pubblico. Maggiore flessibilità significa chiedere di potersi indebitare ancora di più. Quindi la politica economica italiana resta centrata sulla creazione di debito.

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La creazione di debito pubblico non è solo un problema economico ma è fonte di ingiustizia sociale.

Chi difende la possibilità di indebitarsi dello stato sostiene che l’indebitamento serva per garantire i servizi fondamentali dello stato, come la sicurezza e l’appianamento delle disuguaglianze. In realtà effetto del debito è proprio l’opposto: il debito pubblico riduce la sicurezza dei cittadini e aumenta le disuguaglianze sociali.

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il debito pubblico riduce la sicurezza dei cittadini e aumenta le disuguaglianze sociali.

Tanto maggiore è il debito dello stato più a rischio sono i cittadini: uno stato indebitato è il pericolo più grande per il patrimonio degli individui.
Di questo si possono portare due dimostrazioni, una storica e una contingente.
La prova storica è ciò che è accaduto nei paesi che sono andati in collasso finanziario: alla fine chi ha pagato sono stati i risparmiatori. La dimostrazione contingente è che quando si parla di debito pubblico, per provare la sua sostenibilità si porta il dato dei risparmi privati. Il debito pubblico viene considerato sostenibile sulla base dei risparmi dei cittadini: è già previsto implicitamente nel calcolo del debito pubblico che lo stato per ripagare il proprio debito possa disporre della ricchezza dei cittadini.

è già previsto implicitamente nel calcolo del debito pubblico che lo stato per ripagare il proprio debito possa disporre della ricchezza DEI CITTADINI.

Ma uno stato indebitato non mette a rischio solo la sicurezza dei cittadini: è anche fonte di disuguaglianza sociale.
Il meccanismo stesso dell’indebitamento è un’ingiustizia: nel presente si vive con i soldi che verranno pagati dalle generazioni future.
Si spendono soldi dei propri figli o nipoti per garantirsi una qualità di vita superiore. Questo determina un’ingiustizia tra le generazioni: chi verrà dopo si ritroverà un debito contratto da chi lo ha preceduto.
Ma oltre all’ingiustizia differita nel tempo ce n’è anche una già presente nel momento in cui si pagano gli interessi: all’aumentare del debito aumenta la quota di budget dello stato che viene destinata al pagamento degli interessi. Ma chi riceve i soldi degli interessi?
Si tratta di risparmiatori, ossia di persone o istituzioni che ricevono soldi non per un principio di redistribuzione o di equità sociale, ma perché sono possessori di titoli di stato. In questo caso le tasse dei contribuenti finiscono in misura crescente a chi possiede soldi  (tanto da poterli risparmiare) rispetto a chi non li ha, tradendo in questo modo il principio di redistribuzione delle risorse.

ALL’AUMENTARE DEL DEBITO AUMENTA LA QUOTA DI BUDGET CHE LO STATO DESTINA AL PAGAMENTO DEGLI INTERESSI. SI TRATTA DI persone E istituzioni che ricevono soldi non per un principio di redistribuzione o di equità sociale, ma perché sono possessori di titoli di stato.

Questo meccanismo distorsivo del debito è ancora più grande se si considera nel debito dello stato non solo il debito pubblico ma anche quello delle pensioni future. Sarebbe corretto inserirle anche loro nel computo del debito perché queste sono già stabilite nel loro ammontare e sono indipendenti dal PIL, mentre invece risentono del PIL i contributi che dovranno essere pagati per finanziare tali pensioni.
Questo significa che in caso di calo consistente nel PIL, la spesa per pensioni rimarrebbe costante mentre calerebbero i contributi versati, accentuando ulteriormente non solo il rischio di sistema ma anche l’ingiustizia generazionale.
La dimostrazione degli effetti dell’indebitamento dello stato sulla redistribuzione delle risorse lo si vede in questa tabella che valuta l’indice GINI che misura la disuguaglianza sociale negli stati.

indicegini
Come si può vedere nella tabella nel 1990 l’Italia era a 0,40 risultando il paese con meno disuguaglianza economica tra le economie considerate. In venti anni siamo passati da uno dei paesi più equilibrati a uno di quelli più diseguali.

Pertanto chi sostiene la necessità di aumentare la flessibilità, ossia di aumentare il disavanzo pubblico, mette a rischio il patrimonio dei contribuenti e soprattutto favorisce ancora di più i ricchi di oggi rispetto ai poveri di domani.

ANDREA ZOPPOLATO

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Andrea Zoppolato
Più che in destra e sinistra (categorie ottocentesche) credo nel rispetto della natura e nel diritto-dovere di ogni essere umano di realizzare le sue potenzialità, contribuendo a rendere migliore il mondo di cui fa parte.