MANZONI voleva rendere il DIALETTO MILANESE la LINGUA dell’ITALIA

Forse non tutti sanno che Alessandro Manzoni scrisse che il dialetto milanese avrebbe avuto più motivi per affermarsi come lingua nazionale rispetto al toscano

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Il più celebre romanziere italiano è Alessandro Manzoni. Questa è cosa nota. Come è noto che pur essendo milanese ha contribuito, dopo aver sciacquato i panni nell’Arno, a rendere il toscano lingua nazionale.

Eppure forse non tutti sanno che nella sua opera Sentir Messa Alessandro Manzoni scrisse che il dialetto milanese avrebbe avuto più motivi per affermarsi come lingua nazionale rispetto al toscano.

MANZONI voleva rendere il DIALETTO MILANESE la LINGUA dell’ITALIA

Credits: @manuela.sormani
Villa Manzoni

# La sua lingua? Il milanese

Nel suo libro ‘Il cuore è un guazzabuglio. Vita e capolavoro del rivoluzionario Manzoni’, Eleonora Mazzoni ci regala un ritratto inedito del Manzoni.

Il futuro Don Lisander viene rappresentato in giovane età come un ragazzo audace, ribelle, che parlava in milanese e amava corteggiare le ragazze. Da adulto divenne un uomo spinto da “passioni risorgimentali”: la sua arma fu la diffusione di un linguaggio comune. Che, secondo lui, non poteva essere l’antico toscano. Ci voleva altro. 

# Il dilemma manzoniano

Il più celebre romanziere italiano era alle prese con un dilemma. In quale lingua scrivere la sua opera. Manzoni aveva infatti a disposizione una lingua viva: il suo dialetto milanese. Per Manzoni il milanese era la lingua più adatta a diffondersi in tutta Italia. Nella sua opera Sentir Messa Alessandro Manzoni scrisse che il dialetto milanese avrebbe avuto più motivi per affermarsi come lingua nazionale rispetto al toscano. Il solo, grande problema, era che fuori di Milano e della Lombardia nessuno capiva il milanese. Un’altra soluzione era scriverlo in francese, linguaggio delle elite e che gli poteva aprire un mercato internazionale molto ampio. Ecco allora la sua idea: riscrivere il suo romanzo in fiorentino sì, ma nel fiorentino parlato ai suoi tempi, dunque in una lingua viva, non morta. Il percorso per arrivare a questo fu piuttosto complesso. Ripercorriamo le tappe principali.

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# La trasformazione linguistica dei Promessi Sposi

Alessandro Manzoni compie un percorso di diversi passaggi verso quel codice che desiderava per il suo romanzo (per approfondire vedi la genesi dei Promessi Sposi):

  • stesura del Fermo e Lucia (1821-23)
    utilizzo di una lingua di compromesso: la base era un toscano letterario, arricchito da apporti della parlata viva e da termini francesi
  • revisione del 1824
    abbandona la lingua composita privilegiando il toscano e scopre molte concordanze tra i modi toscani e quelli del milanese
  • soluzione “fiorentina” del 1827 che porta alla revisione finale ed edizione del 1840
    il viaggio a Firenze per Manzoni come dice il Migliorini “fu una rivelazione: quella lingua tanto faticosamente cercata nei libri, eccola viva, agile, reale, nei Fiorentini colti con cui veniva a contatto“. Trova così definitivamente la soluzione: la lingua unitaria, vivaparlata ed attuale: il fiorentino delle persone colte. Non la lingua morta dei libri del Trecento e del Cinquecento. Compie così un lungo lavoro di revisione linguistica che lo porta all’edizione finale del 1840, la cosiddetta Quarantanaillustrata con i disegni di Francesco Gonin.

# Manzoni in versione milanese

Credits: @milano IG

Manzoni per tutta la vita non rinunciò comunque a cimentarsi nel dialetto, come in questi suoi versi dedicati a Carlo Porta: 

On badee che voeur fà el sapienton

el se toeu subet via per on badee;

ma on omm de coo che voeur paré mincion,

el se mett anca lu in un bell cuntee

Lo sciocco che vuol fare il sapientone

si vede subito che è uno sciocco;

ma l’uomo di ingegno che vuol apparire incapace

si mette anche lui in un bell’impiccio

Continua la lettura con: I segreti di Casa Manzoni

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