Luci e ombre di BOERI, l’archistar che esporta Milano nel mondo

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stefano boeri architetto

Dallo scorso 8 febbraio Stefano Boeri è Presidente della Fondazione La Triennale di Milano. Nel 2017 inaugura il polo del gusto a Amatrice. Nel 2017 è ideatore di Milano Arch Week. Il 10 giugno 2011 viene nominato assessore alla Cultura, Moda, Design ed Expo del Comune di Milano. Dal 2008 al 2010 fa parte con altri profili internazionali della consulta degli architetti dell’Expo 2015, incaricata della progettazione del concept masterplan per l’esposizione milanese. Nel 2009, conclude la riconversione dell’ex Arsenale Militare della Maddalena che avrebbe dovuto ospitare il G8, prima del terremoto dell’Aquila. Dal 2004 al 2007 Stefano Boeri è direttore di Domus, magazine internazionale di Architettura, dal 2007 passa alla direzione di Abitare, che mantiene fino al 2010. Nel 1993 fonda il suo studio di architettura con il quale sta contribuendo a rivoluzionare l’architettura.

Questi sono solo alcuni dei successi occorsi alla, sin qui, folgorante carriera dell’architetto milanese Stefano Boeri, ai quali però, per correttezza di informazione vanno accostati quasi altrettanti insuccessi: l’esperienza editoriale è unanimemente riconosciuta come non positiva, per usare un eufemismo; l’esperienza G8 è stata disastrosa per la sua immagine; gli ammiccamenti alla politica sono sempre naufragati, e più recentemente la sua mensa ad Amatrice è stata soggetta a indagini della magistratura. Con ciò sorprende quindi scoprire che questi rallentamenti non abbiano fermato la sua corsa verso l’olimpo dell’architettura, nonostante anche qui, penso si possa affermare senza offendere nessuno, dal punto di vista strettamente architettonico i suoi lavori non brillino per unicità.

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Ercolino sempre in piedi

In un recente articolo apparso sul sito internet specializzato Art Tribune, si scrive che è come lo slogan per un gadget di una vecchia pubblicità della Galbani: sempre_in_piedi.

stefano boeri architettoUn’analisi interessante sarebbe quindi quella di cercare di individuare, se presente, quella o quell’insieme di caratteristiche che stanno permettendo ad un milanese di esportare eccellenza in tutto il mondo (ricordiamo che edifici basati sul modello del Bosco Verticale sono in progettazione dallo Studio Boeri dalla Francia alla Cina). Chissà se poi in queste caratteristiche si possa riconoscere un modello operativo riutilizzabile.

Di certo molta importanza la hanno fattori pragmatici elencati nell’articolo di Art Tribune sopra citato, che vanno dal fatto di appartenere all’élite italiana radical chic; a un disinvolto comportamento culturale che gli permette di dialogare con figure antitetiche; e infine di godere del supporto quasi indiscriminato di giornali del calibro del Sole 24 Ore e del Corriere della Sera. Io sono convinto però che una ragione più profonda, che potremmo definire strutturale o metodologica sia alla base del suo successo. Vediamo a cosa mi riferisco.

I figli dei tempi

È innanzitutto fondamentale collocare la sua azione lavorativa in un contesto culturale estremamente dinamico, che negli ultimi decenni ha mutato le sue caratteristiche e da cui non si è ancora riusciti ad estrapolare dei paradigmi chiari e sintetici. Mi sto riferendo ad un mondo culturale, di cui anche Boeri fa parte, che in estrema sintesi si sta muovendo, nei suoi attori (cioè contemporaneamente espressione fisica e interpreti del modello stesso), dalla figura del critico elitario ed estremamente colto del 800/900 ad una che da più parti si tenta di definire con nuove terminologie: persona universalmente colta, Prosumer, operatore culturale, lavoratore cognitivo

Tutti questi termini stanno ad indicare un individuo che grazie alle nuove tecnologie e ai nuovi modelli di aggregazione sperimenta un nuovo rapporto tra istruzione, lavoro e svago attraverso la costante acquisizione di un sapere interdisciplinare.
Pur fermandoci qui, questa puntuale e frammentaria descrizione del mondo culturale sarà già stata sufficiente per farvi intendere quale sia la ragione metodologica e profonda del successo di Boeri, in una parola: interdisciplinarità. Alla quale va aggiunta la sua capacità di fare network.

stefano boeri architetto
Milano dopo la riqualificazione degli scali ferroviari secondo SBA, Stefano Boeri

Prendiamo per esempio due progetti da lui realizzati: il famosissimo Bosco Verticale e il progetto per gli scali ferroviari milanesi. Per chi non conoscesse quest’ultimo progetto spendo due parole per descriverlo. Nel 2017 il Comune di Milano decide di istituire un bando chiuso fra architetti riconosciuti a livello internazionale che aiutasse a proporre delle linee guida per la riqualificazione dell’area dismessa da Ferrovie dello Stato, di più di un milione di mq, che circonda Milano. Fin dalla presentazione del progetto di Boeri, con temi trattati come il risparmio energetico e di CO2, alberi piantati, rinfrescamento dell’aria, anello per la mobilità pubblica (MM6 di superficie) e un’infrastruttura metropolitana per l’utilizzazione a fini geotermici delle acque di falda, la sua è apparsa la proposta meno architettonica e più tecnica.

Stessa metodologia per il Bosco Verticale dove l’Architettura con la A maiuscola, come avrebbe detto Le Corbusier, lascia spazio ad una tecnicità differente, più propensa al dialogo interdisciplinare tra botanica, ecologia, climatologia. Importante conseguenza di ciò è il ruolo centrale ricoperto dalla comunicazione, più attenta a vendere un lifestyle green e sostenibile che ad altro.

Parola d’ordine: connessione

stefano boeri architettoDa queste righe si scopre perciò una figura impegnata a rendere questi campi del sapere mutuamente compatibili che a sottometterli ad una presupposta superiorità dell’Architettura. Non più un rigido incasellamento del sapere che produce sacche di estrema eccellenza incapaci di comunicare tra loro ma disponibilità di trascendere le proprie posizioni per combinarle con quelle altrui. Apertura, disponibilità, collaborazione. Il tutto, se accostato ad un esponenziale aumentato delle possibilità di collaborazione fornite dalla rete e dalle nuove tecnologie può portare verso nuove e strabilianti forme di condivisione, che mettano addirittura in discussione l’idea stessa di proprietà privata, che nel campo culturale assume il nome di copyright. Ovviamente la metodologia di Boeri possiede solamente in nuce queste possibilità, che comunque non è detto giungano mai a piena realizzazione. Ciò che però è importante comprendere è che è questa, se pur frammentariamente o inconsapevolmente, la via indiscutibilmente intrapresa.

Andando oltre alle specificità degli esempi, che hanno portato Marco Biraghi, importante storico milanese, a parlare di una sparizione dell’architettura, possiamo trarre, come visto velocemente, importanti indicazioni metodologiche valide non solo nel campo dell’architettura, ma applicabili alla vita e al lavoro di tutti i giorni. I fatti testimoniano che questo è un modello vincente, un’eccellenza riconosciuta ed esportata: da milanese mi auguro che i miei concittadini e i nostri lettori sappiano trarre il massimo di beneficio dalla figura di Stefano Boeri.

 

 

FEDERICO POZZOLI

 

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Federico Pozzoli
Ritto sulla cima del mondo, scaglio, una volta ancora, la mia sfida alle stelle.